“IL GIOCO DELL’APPARENZA”
E’ stato certamente
merito della vita stressante del paese più industrializzato del mondo — il
Giappone — che nel 1993 Yumiko Kido, fatti frettolosamente i bagagli, ha
lasciato Tokyo per scoprire l’altra faccia del pianeta. Un breve tour per
l’Europa, per poi approdare alla mitica Italia. In questo, niente di
particolare, tanti lo facevano e lo fanno. Ma per Yumiko qualcosa doveva
cambiare radicalmente il corso della sua vita. Per lei che ogni volta che si
spostava era una fuga, decidere di rimanere a Firenze fu quasi automatico.
L’incontro con l’abbagliante bellezza di un luogo così speciale e pieno di
memorie eccezionali, con le sue architetture, i suoi musei e gallerie, è stato
fondamentale per il compiersi del prodigio. Nasceva così un grande amore: per
Firenze e per l’arte. Non occorrerà insistere ancora molto per spiegare il
grande volo di libertà e la vertigine centripeta verso un nuovo centro
gravitazionale stabilizzante, il bisogno quotidiano di disegnare e dipingere.
Aveva scelto. Da ora poteva respirare la stessa aria, vedere lo stesso
paesaggio. attraversare le stesse strade che furono dei grandi maestri del
Rinascimento. Quelli che si possono vedere anche nei grandi musei del Giappone,
forse con ancora più magnificenza e ricchezza che non in Italia, all’interno di
esposizioni epocali come quella di questi giorni a Tokyo. Ma non e la stessa
cosa. Dalla sua finestra di Via Maffia Yumiko ha potuto anche vedere austeri o
frivoli i tetti fiorentini, forgiati dall’acqua, dal tempo, dal sole. Le tegole
fragili e dolci come biscotti rustici. In quelle stesse vecchie strade ha
sentito la vita dei quartieri d’Oltrarno, conosciuto l’anima becero-arguta dei
toscani veraci, incontrati diversi artisti fiorentini, come Raffaele Bueno, Rodolfo
Meli, Luigi Doni. E’ proprio frequentando lo studio di Doni che ha mosso i
primi passi nella pittura. Avvicinandosi all’arte e alla bella pittura di un
artista che rivive nel presente stimoli e idee provenienti dalla grande
tradizione del passato, Yumiko ha appreso nel quotidiano il rapporto vitale con
i secoli trascorsi della storia artistica occidentale, ma soprattutto ha capito
che c’è ancora spazio, voglia ed energia per esprimersi ed operare in quel
solco. Si è riconosciuta in un’arte figurativa, iconica, dove c’è attenzione e
amore per i volti, per i corpi, per le luci e le ombre che li accarezzano, li
scrutano, li fanno sentire tangibili e veri. Non un verismo crudo ed eccessivo,
ma piuttosto lirico e sentimentale, a tratti ironico e favolistico. Senza
cercare virtuosismi puntigliosi e perfetti, ma con l’animo limpido e
fanciullesco che s’incanta di fronte alla natura, al paesaggio, davanti alle
fattezze di un volto gentile, Yumiko sa unire estasi e disciplina, aperta
curiosità e senso della misura, analisi del dettaglio — anche curioso e
bizzarro — e azzardo della sintesi. Linee e forme che nell’incontro
“innamorato” con l’arte occidentale non fanno rinnegare, ma al contrario
irrorano di linfa, una semplicità orientale che ci par di vedere resistente e
risorgente, ora in campiture larghe e distese, ora nella grafia sottile e
accennata di un paesaggio vero, oppure sognato. Riconducendo ogni
sovrabbondanza ed eccesso — inclusa la sottomissione al mestiere e alle
tentazioni colte dell’allegoria — ad un sapiente ed asciutto gioco di linee e
colon che è tutt’altro che una rinuncia o una dichiarazione di resa. Ma la
dolce e serena determinazione di una ricerca personale, appassionata e sincera.
Giugno2001
Emanuele Bardazzi